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martedì 30 aprile 2013
Et voila
Et voila. Finalmente dopo più di sessanta giorni abbiamo un governo.
Purtroppo non è quello che avevamo sperato. Certo Letta è competente, preparato e ancora giovane. Avrebbe potuto essere un ottimo premier, ma le condizioni in cui ha ottenuto l'incarico mi fanno temere che non sarà così.
Ma prima vorrei tentare di capire cosa è successo all'interno del PD in questi drammatici giorni.
Bersani ha spiegato più e più volte le ragioni del no al governo con il PDL, ragioni che possono essere sintetizzate con il fatto che il governo del cambiamento con la destra sarebbe stato impossibile e che all'Italia serviva assolutamente proprio un governo del cambiamento. E null'altro.
Poi alla vigilia dell'elezione del PdR dice:"La priorità è l'unità del partito". Sicuramente importante ma non certo il primo tema sul tavolo al momento.
Deve esserci sfuggito qualcosa, ma cosa?
Il partito era spaccato. Non si creda si sia spaccato sui nomi di Marini e Prodi. Il PD si è spaccato sul governo del cambiamento. È nata la paura che ci si stesse spostando troppo a sinistra (complice anche la paventata confluenza di SEL), una parte del partito ha avuto paura e allora prima si è impuntata e poi ribellata.
È qui l'errore di Bersani. Non ha avuto la forza e il coraggio di certificare pubblicamente l'implosione del PD e proporre un candidato (come Rodota prima che diventasse il portacolori grillino) che sì non sarebbe passato, ma perlomeno davanti all'opinione pubblica ci avrebbe tutelato. Insomma un candidato identitario. Così ne saremmo usciti magari spaccati ma con le ossa meno rotte di ora.
Con la scelta di Marini l'ex Segretario ha provato a mantenere una parvenza d'unità che, pur mettendo in conto alcune defezioni interne, l'ampia condivisione con il PDL avrebbe garantito. Le defezioni son state molte di più e come sia finita si sa.
Infine Prodi è stata la certificazione della frattura del nostro partito. La partita che si stava giocando non era più sul nome del PdR ma sulla natura stessa del PD.
Ora siamo esattamente dove qualcuno di noi voleva arrivare.
Ecco allora che si apre il tema che dovrà diventare fondamentale al congresso.
Chi siamo e soprattutto, chi vogliamo essere?
La vocazione maggioritaria, la grande forza riformista che unendo le due grandi anime della sinistra italiana (quella della sinistra DC e quella del PCI berlingueriano) si propone come soggetto alternativo alla destra, il sogno di un partito plurale ma disciplinato, l'ambizione non solo di vincere ma di segnare attraverso l'azione di governo una svolta nel Paese, sono scomparse?
Il nostro futuro sarà fatto di alleanze con il centro di monti (il vero centro-destra italiano) e con la destra populista di Berlusconi e simili?
Il futuro sarà la riproposizione in salsa italica del New Labour e il conseguente rinnegamento di alcuni dei valori che sento miei e che pensavo fossero tra le fondamenta del partito a cui appartengo?
Il futuro sarà un partito di centro che mira ad ottenere il consenso in un Paese storicamente poco incline al riformismo?
Insomma il futuro sarà ancora il PD in cui ho creduto e a cui mi sono iscritto o saremo qualcos'altro? E cosa?
Giorgio Maran
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